Anno IV – N. 4 Dicembre 2005
DIVERSITÀ
“Non ci si accorge quasi più che sono diversi!”. Un breve commento, espresso durante una conferenza sull’integrazione delle persone extracomunitarie per sottolineare il valore della collaborazione fra culture, ha suscitato dentro di me una subitanea reazione di stupore, poi una riflessione. Che peccato! Ho pensato immediatamente: è la varietà di usanze, religioni, pensieri, colori, la caratteristica peculiare delle persone che vengono da Paesi lontani. Poi la riflessione: diversi da chi, da che cosa? Certo che le persone, le popolazioni, le culture sono “diverse”: sono più di una e ciascuna con le sue caratteristiche… Il discorso si può allargare anche all’espressione “diversamente abile”. Diversamente abile da chi? L’utilizzo della parola stessa “diverso” include in sé una posizione di confronto, sia essa utilizzata come sostantivo o aggettivo. Quando il confronto viene fatto su un piano di parità esistenziale ed umano, con pieno rispetto delle peculiarità, è ricchezza e varietà, può diventare dialogo, distinzione, individualità. se viene fatto da una posizione di superiorità, rispetto ad uno standard considerato “normalità” o “consuetudine” porta con sé il rischio implicito di umiliazione, emarginazione e segregazione. In quest’ultimo caso la diversità turba, perché costruita sulla paura, a volte fantastica, di ciò che è sconosciuto e che viene intuito come pericoloso in quanto turba abitudini ed equilibri consolidati. Togliere il potenziale spaventevole della diversità, soprattutto quando questa aumenta percentualmente nella nostra società e tocca le soglie di guardia, significa accettare di confrontarsi in maniera aperta e costantemente con le molteplici caratterizzazioni della nostra realtà personale e culturale. Evitando di innalzare barriere rigide di difesa con una ginnastica metodica ed elastica, fatta di conoscenza, curiosità, rispetto e senso di appartenenza ad una società umana multi sfaccettata.
Marina Stroili
PRIMAVERA, UNA STORIA VERA
Era la primavera del 1979. Maledetta primavera! Insegnavo. Iniziava a far caldo. I vestiti erano da cambiare con altri più leggeri. Il primo sole mi infastidiva e, prima piano piano, poi quasi di colpo, provai un senso di sgomento, di smarrimento, di angoscia. Sentivo che la mia vita era finita. Avevo solo venticinque anni. Era finita in generale. Io morivo e tutto intorno a me moriva. Cominciai a piangere, a piangere e a rinchiudermi in casa, nella mia stanza, nel mio letto, nel sonno. Finii la supplenza. Dormivo. Dormivo più di dodici ore al giorno. Al risveglio, più angosciata che mai, ricominciavo a piangere. Pianto e sonno. Sonno e pianto. Era giugno del 1979. I miei amici mi consigliavano un viaggio in Oriente. Partii. Presi l’aereo da sola, volai per dodici ore in stato di shock, assente senza rendermene quasi conto. Rientrai a Bergamo nel Natale 1979. Ero partita depressa e tornavo sei mesi dopo in piena euforia. Nel gennaio del 1980 ebbi il primo ricovero presso la neurologia degli Ospedali Riuniti di Bergamo, dove un medico sentenziò: “Psicosi maniaco depressiva. Non c’è nulla da fare”. Questo disse alla mia famiglia, gettando tutti nello sconforto totale. Gli Anni Ottanta furono un vero calvario, decine e decine di ricoveri, prima in neurologia, poi all’ SPDC. Diventai malata. In modo ufficiale. Nel 1987 fui dichiarata invalida civile al 75 per cento. Il 3 maggio del 1988, a seguito dell’ennesima crisi depressiva, mi buttai dal quinto piano. Mi salvai miracolosamente perché trattenuta da un ramo d’albero che mi lasciò cadere nella sottostante aiuola, soffice di terra fresca e di fiori. Dopo questo fatto capii che non mi avrebbero guarito né ospedali, né i ricoveri, né i dottori. In realtà avevo tanto bisogno di affetto e la mia famiglia, invece, continuava a rifiutarmi. Così fu deciso di sposare, nel 1989, un uomo che mi voleva bene, vedovo e con una grande volontà di “tirarmi fuori dalla psichiatria”. Con lui e con suo figlio adolescent??>??ne, fui riportata di colpo in un mondo normale, a contatto con i problemi veri del quotidiano. Diventai una casalinga perfetta. Nel frattempo, le fasi maniacali erano sparite e l’unico disturbo che accusavo era il dormire poco. Per ben cinque anni stetti lontana dagli ospedali e dalle cliniche e ne fui felice. Nel 1994, però, mio marito chiese la separazione: “si era stancato di me”, disse. Ripiombai in uno stato depressivo e mi rivolsi al mio psichiatra di sempre, il dottor F., il quale mi indirizzò ad una dottoressa del CPS di zona. “Dottoressa” le dissi appena la conobbi “mi aiuti a salvare il mio matrimonio!”. “Non posso” mi rispose “però, se vuole, l’aiuterò a soffrire di meno”. E mi aiutò veramente tanto, con una psicoterapia di appoggio. Attualmente vivo da sola, abito in un appartamento del Comune, sto abbastanza bene. Percepisco la pensione di invalidità. Da circa tre anni lavoro part-time alla Cooperativa “Aretè” di Torre Boldone. Da poco ho realizzato il mio sogno nel cassetto: mi sono comprata l’automobile! Una Panda rossa. Ora come ora, sento di avere diritto a vivere la mia vita: ho ancora tanta voglia di amare e di essere amata.
L.S. , marzo 2005
SETTE CHILI IN…UN ANNO!
Negli alimenti di uso quotidiano compaiono sempre più spesso e in percentuale crescente ingredienti come zuccheri, soia , mais e/o i loro derivati. Presentati come elisir di giovinezza dal mondo perfetto e ovattato della pubblicità, molti prodotti alimentari sono venduti a costi ingiustificati soprattutto se consideriamo i loro ingredienti. Un esempio: yogurt magro alla fragola. Pubblicizzato come un alimento sano, può in realtà contenere anche amido modificato per addensare e sostituire la consistenza donata dalla frutta, coloranti, aromi e alcune forme di fruttosio spesso derivate dal frumento. Per non parlare dello yogurt o del gelato alla soia…Ma cosa motiva tanti sforzi per impiegare il mais, zucchero e soia? Come mai almeno il 60% degli alimenti che troviamo al supermercato contengono questi ingredienti? Mais, soia e zucchero sono, guarda caso, tra le materie prime più sovvenzionate al mondo e dopo vari processi di trasformazione diventano ipercalorici, poco nutrienti ma facilmente conservabili. Frutta e verdura fresca invece non sono oggetto di alcun sussidio e, anche se contengono molte vitamine e sali minerali hanno il pessimo difetto di andare a male. Per trasformare gli ingredienti a basso costo di cui sopra, in alimenti accettabili servono gli additivi. Ogni anno, l’industria alimentare spende miliardi di euro in additivi chimici per cambiare colore, consistenza, sapore e durata ai nostri cibi. La maggior parte di questi additivi sono adoperati al solo scopo di migliorare le caratteristiche estetiche del prodotto finale e per rendere accettabili ingredienti di scarsa qualità come grassi vegetali trasformati, amidi che inducono stitichezza e zuccheri a basso costo. Secondo un calcolo approssimativo i consumatori dei paesi industrializzati mangiano circa sette kg di additivi l’anno… Non è tutto: la lista dei principali ingredienti in cui possono nascondersi gli OGM sono gli stessi. Soia, farina di soia, fibra di soia, estratto di soia, proteine di s †???coia, concentrato di soia, olio di soia, lecitina di soia, E322, lecitina, estratti vegetali, olii vegetali, grassi vegetali, emulsionanti, mono e digliceridi degli acidi grassi, mais, farina di mais, amido di mais, amido modificato di mais, amido, glucosio, sciroppo di glucosio, destrosio, maltodestrina. In tre parole: mais, soia e zuccheri. Buon appetito…
Maria Cristina De Noni Tecnologo alimentare e dietista
MILLENOVECENTOSESSANTOTTO
1968: che annata! Ragazzi, non sapete cosa vi siete persi! Io comunque c’ero e posso raccontarvi un paio di storielle d’epoca, tra loro accomunate da elementi che comprenderete da soli. Prima storiella. Io ed un mio amico riuscimmo con uno stratagemma (che mi porterò nella tomba) a far pubblicare da un noto giornale a tiratura nazionale il seguente annuncio matrimoniale: “Giovane medico privo conoscenze altolocate relazionerebbe scopo matrimonio esclusivamente con figlia di primario ospedaliero o cattedratico universitario giovane, bella, ricca, anche se intelligente…” Ci credereste? Non solo fu pubblicato, ma ottenemmo anche delle risposte… O tempora, o mores! Seconda storiella. C’era una volta in una università del nord un medico molto potente. Forse il più potente che l’Italia abbia mai conosciuto (credo sia l’unico di tutti i tempi ad aver inaugurato una aula magna intitolata…a se stesso!) Questo padreterno aveva una unica figlia, bruttarella. Così, anche se era un ottimo partito, restava zitella (la bruttarella). Ma un giorno giunse un bello guaglione con l’occhio assassino (un vero sciupafemmine) e il ricciolo alla Little Tony. Laureato in medicina. Impalmò la principessa bruttarella e divenne da un giorno all’altro il più giovane (35 anni) direttore di clinica universitaria d’Italia. Ma era il 1968… Accadde così che nei lunghissimi corridoi della clinica comparissero striscioni del tipo “M., l’uomo dal manico d’oro” oppure “Le pubblicazioni che valgono di più per la docenza sono quelle di matrimonio”. Il prof. in oggetto se ne aveva a male, e †???c chiamava regolarmente i questurini, che arrivavano a sirene spiegate. Avvistati a tempo debito i tutori dell’ordine si provvedeva a far trovare le corsie più pulite ed in ordine di una sala operatoria. Allontanatisi i baldi tutori della legge, tutto tornava come prima. Poi i celerini, poi l’ordine, poi addio celerini e addio ordine… la cosa andò avanti fino a quando i tutori dell’ordine dissero al prof. “dal manico d’oro” di toglierseli lui, gli striscioni! Eh ragazzi, non sapete cosa vi siete persi! Epilogo. Va da sé che appena il suocero morì il bello guaglione si separò dalla principessa bruttarella. Questa storia ormai sepolta nei meandri della mia memoria si è riaffacciata quando ho letto – pochi giorni fa – che l’ormai vetusto uomo dal manico d’oro è stato condannato ad un anno di reclusione (il figlio assolto per insufficienza di prove) per un concorso truccato (eh, non ci sono più le principesse di una volta…).
Felice Vanzetti – Psichiatra
PICCOLA CORRISPONDENZA DAL CILE
Santiago, fine ottobre 2005
A santiago fa più freddo che in Italia, giusto per ribadire il concetto che il mondo sembra girare al rovescio. L’accoglienza degli amici si è rivelata magnifica e questo scalda il cuore! […]
il festival del libro di Santiago mi dà l’oppotunità di conoscere meglio le figure emblematiche della letteratura cilena. Ho già in mente uno scritto “Cile,non sono Sepulveda” mediante il quale mi piacerebbe rendere visibili figure storiche, veri monumenti della parola scritta sudamericana, che pur alendo molto più del sommo “lucho” sono ancora benemeriti sconosciuti all’intellighenzia europea.
Al di là di tutto, dopo il primo giorno vivo la meravigliosa sensazione di trovarmi nel cuore della letteratura cilena, di poter imparare a comunicare con questi mostri sacri. Il tempo a disposizione mi permetterà di comprare i libri dei migliori sudamericani e leggerli rapidamente. Di questa totale immersione non posso che esserne felice, benedetto dagli dei e dalla fortuna.
Paolo Ghiotti
I MAPUCE, UOMINI DELL’ARAUCANIA
Uno spettacolo a Pordenone – Per conoscere un’antica cultura
Gli anni successivi alla scoperta dell’America (1492) segnano lo svelarsi agli spagnoli, e fra essi ad alcuni cacciatori chiamati spaniards, di un popolo indigeno del Cile meridionale, oggi spesso catalogato nel calderone degli Indiani d’America, abitante della mitica regione dell’Araucania e chiamato Mapuche (Mapu – Che in lingua Mapudungun significa “uomini della terra”). Un popolo così forte da aver resistito , prima dell’arrivo degli europei, perfino al tentativo di conquista da parte degli Incas.
A differenza degli Ona, popolazione originaria della Terra del Fuoco che si sta estinguendo, i Mapuche sono l’unico popolo indigeno dell’America del Sud ad avere mantenuto con tutti i mezzi la propria identità la propria cultura, la lingua e in parte la religione. Con tutti i mezzi perchè molti sono stati i tentativi di annientare questi indigeni che pur avendo resistito agli spagnoli hanno lentamente dovuto cedere all’espansione attuata anche attraverso la strategia militare delle nazioni che si stavano formando quali il Cile e l’Argentina, tanto che oggi il loro numero si è ridotto a circa due milioni scarsi di individui sparsi fra i due Paesi.
Ludovica Cantarutti
L’ANGOLO DI FELICE VANZETTI
RICCO È BELLO
Se la salute è benessere fisico, psichico e sociale, sentite queste due storie, all’insegna del: “ricco è bello”. 1)Il Signor Rossi passa ad un semaforo con il rosso e l’apposito aggeggio lo fotografa. Conseguenza: sei punti in meno sulla patente e una bella multa. Se però non è possibile determinare chi era alla guida del mezzo il nostro Signor Rossi paga una seconda multa ma non subisce la decurtazione dei punti sulla patente. Quesito: tra un signor Rossi ricco ed un signor Rossi non ricco chi subirà la decurtazione dei punti?
2)Poche settimane fa è stato installato in Italia il primo apparecchio per la temoterapia esistente in Europa. Questa apparecchiatura permette (almeno sulla carta) di mettere KO qualunque tumore e relative metastasi. Attualmente è avviata la fase sperimentale. Si dà il caso che in genere le nuove terapie vengano sperimentate prima sugli animali e poi sui poveri. Ebbene, da mie informazioni ottenute casualmente questa terapia è sperimentata… sui ricchi!Ma pensa te.
GLI UOMINI BLU DEL DESERTO
I TUAREG A PORDENONE
Un grande progetto culturale e di solidarietà
Con il titolo “Gli uomini blu del deserto” è stato promosso dall’Assopciazione “via Montereale” un progetto per far conoscere una cultura “diversa”, legata alla presenza della comunità Tuareg a Pordenone e sostenere nel contempo la costruzione di una scuola per i bambini Tuareg nel Paese d’origine. I Tuareg sono un popolo antico, nomade, di origine berbera, che rischia nei tempi attuali non soltanto di perdere la propria identità ma addirittura l’estinzione.
Ludovica Cantarutti
UOMINI BLU, UOMINI LIBERI
Il loro nome, Tuareg, è stato coniato dagli arabi e significa “abbandonato da Dio”, esprimendo così bene la loro condizione secolare di nomadi. loro, in effetti, preferiscono chiamarsi “Imohag”, cioè “uomini liberi”.
Nell’immaginario collettivo costruito dalla letteratura e dai numerosi film, quest popolo di stirpe berbera le cui origini restano avvolte nel mistero, è molto spesso rappresentato dalle lunghe carovane che solcano il deserto.
Oggi quelle carovane sono sparite e questo popolo con la sua cultura rischia l’estinzione. Le terribili carestie e le siccità degli ultimi trent’anni hanno bruciato pascoli e sterminato greggi mettendo ijn crisi la loro fragile economia pastorale e la loro fragile “civiltà della sabbia” come è stata definita dall’arabo Ibn Battuta nel XV secolo.
UNA COCCINIGLIA PER COLORANTE
L’origine naturale di un prodotto non è sempre garanzia di buona tollerabilità da parte del consumatore. Colorante naturale non vuol dire sempre innocuo.
L’esempio più ci è dato dalla cocciniglia, dall’acido carminico e dai vari tipi di carminio identificabili nelle etichette dei prodotti con la sigla E 120.
Questi coloranti naturali vengono ottenuti da un insetto, il Coccus cacti, che vive in America Latina e nelle Isole Canarie. Il colore rosso carminio si può estrarre dalle sue uova essiccate o direttamente dall’insetto per ottenere una sfumatura più brillante.
Viene impiegato dall’industria alimentare nella produzione di alcune caramelle, yogurt, marzapane, gelati, bibite, liquori e confetti medicinali per conferire le caratteristiche colorazioni rosso, rosa e viola.
Pensiamoci bene: se alla dicitura “ingredienti” leggessimo: colorante(insetti vari)-quale sarebbe la vostra reazione? Liberi di fare le vostra scelta.